Fondazioni bancarie: qualche verità da ricordare per capire chi opera bene (e chi meno)

16 marzo 2017

Nell’ultimo articolo in ordine di tempo sul mondo delle Fondazioni bancarie pubblicato il 27 u.s. su “Affari e Finanza” di “La Repubblica”, dal titolo “La ritirata delle fondazioni da padrone delle banche ad azioniste marginali”, si traccia un bilancio molto negativo per quelle fondazioni che negli anni hanno accompagnato le banche partecipate sottoscrivendo gli aumenti di capitale, molte volte ricorrendo anche al debito.
L’articolo parla delle Fondazioni MPS, Genova, Ferrara e molte altre che sono sulla soglia della sopravvivenza come quelle legate a Banca delle Marche ed a Carichieti. Nell’articolo si sottolinea che gli enti che aderiscono all’ACRI avrebbero dovuto per tempo diversificare il rischio di investimento nelle banche partecipate e non attendere il Protocollo di Intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze del 2015, ma non viene messo in risalto, se non con un inciso non chiaro “in anni non recenti”, che la Fondazione Roma, grazie alla preveggenza del Presidente, è stata la prima di tutte ad intraprendere nel rispetto del dettato delle Leggi Amato e Ciampi, a portare a termine con successo il percorso di distacco dalla Banca che è stato avviato nei primi anni del 2000 e che già da prima aveva realizzato un modello di gestione finanziaria che ha consentito di produrre proventi per il perseguimento delle finalità istituzionali senza dipendere dai dividendi bancari.
L’articolo mette in evidenza seppur tra parentesi che il patrimonio netto della Fondazione è calato da 1,689 miliardi del 2007 a 1.552,2 del 2015 senza evidenziare che ciò è dovuto alla svalutazione di 346 milioni operata nel 2011 in ossequio alle disposizioni di Legge ed ai criteri stabiliti dai principi contabili per effetto dei negativi risultati conseguiti nel 2011 dalla Banca e del varo, con un forte sconto (43% circa), dell’aumento di capitale sociale per 7,5 miliardi delle stesse, cosa che non risulta essere stata fatta da altre Fondazioni che continuano in molti casi a mantenere le quotazioni delle loro partecipazioni bancarie al valore dell’acquisto originario. Si è quindi trattato di una svalutazione riveniente esclusivamente da problemi di carattere strutturale interni alla Banca, non dipendenti, quindi, da fatti attinenti la gestione caratteristica della Fondazione.
Ad insidiare il 6° posto della Fondazione del 2007 a livello di dimensione patrimoniale è stata, nel 2015, l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che, avendo dismesso la partecipazione nelle conferitarie Cassa di Risparmio di Firenze ed Intesa San Paolo l’unica realtà bancaria che non ha mostrato grandi problemi, ha portato ad incremento del patrimonio Euro 191.000.000,00 raggiungendo la soglia patrimoniale di 1.526,2 miliardi contro 1.522,2 miliardi della Fondazione. Le altre Fondazioni Verona e Cassa di Risparmio di Torino sono salite dal 4° al 3° posto e dal 5° al 4° solo grazie alla sparizione della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Alle Fondazioni azioniste di Intesa San Paolo è andata meglio rispetto a quelle di Unicredit, ma nonostante questo, a riprova del fatto che detenere una partecipazione pesante legata ancora alla Banca conferitaria è deleterio, la Fondazione Cariplo, che l’articolo individua tra le Fondazioni caratterizzate da una “buona gestione”, nel 2015 ha chiuso l’esercizio in perdita di Euro 39 milioni e, per sostenere le attività istituzionali, ha dovuto ricorrere al Fondo di stabilizzazione delle erogazioni per 135 milioni.
Poiché essa che ha fatto comunicazioni in senso trionfalistico per aver in 25 anni distribuito 2,3 miliardi, avendo un patrimonio di 6,8 miliardi, giova ricordare che la Fondazione Roma con un patrimonio di 1,5 miliardi, ha distribuito 900 milioni e non ha mai utilizzato le sue riserve.