Mediterraneo, perché la politica naviga senza bussola

5 luglio 2017

di Emmanuele F. M. Emanuele

Il Mediterraneo ed il Medio Oriente sono, purtroppo, due aree del pianeta tra le più instabili, scosse da secoli da conflitti interni e da guerre religiose sia in seno all’Islam, che allo stesso Occidente. Tale conflittualità nasce in molti casi da una pretesa di primazia fondata, secondo l’Islam, dalla superiorità della sfera spirituale rispetto a quella civile o, quantomeno, nell’identità tra le due, e si è accentuata per una molteplicità di motivi,  quali il divario economico tra aree sottosviluppate dell’Oriente rispetto all’Occidente, la crescita economica di nuovi mondi (Emirati arabi, Cina) e da ultimo il riemergere in ruoli chiave di Stati quali la Russia e Israele.

In quello che fu l’Impero romano, diviso tra Occidente ed Oriente, a dissolversi per primo fu quello Occidentale, a causa delle guerre religiose e di quelle tra il Papato e l’Impero. Valga su tutte la vicenda storica che ha avuto come protagonista Federico II proprio sui temi del rapporto con l’Islam. Quello d’Oriente sopravvisse mille anni di più grazie anche alla profonda saggezza di aver mantenuto rigorosamente separata l’autorità temporale da quella spirituale, e cadde proprio perché di fronte all’espansione dell’Islam, proteso con Maometto V alla conquista di Costantinopoli, non lo soccorse l’Occidente percorso da continue lotte intestine.

Nello scenario odierno, non dissimile dal passato, si colloca la minaccia terroristica che si sta manifestando in Oriente, come in Occidente.

A tal proposito sono personalmente convinto che oggi, insieme alla miseria, alla disoccupazione, alla corruzione dilagante, alla completa mancanza di un futuro per i giovani, un’altra componente non trascurabile che favorisce l’attecchire del messaggio fondamentalista (e purtroppo terrorista), sia la fragilità culturale di cui soffrono soprattutto i giovani del Maghreb e del mondo orientale, privi di una formazione scolastica e professionale. Assicurare ai giovani un’adeguata base culturale e formativa, nonché gli strumenti necessari per introdurli adeguatamente nel mercato del lavoro, seguendo le esigenze e gli orientamenti di quest’ultimo, accompagnando il tutto con opportune politiche di sostegno per chi è in difficoltà o tende a rimanere indietro o escluso dal processo produttivo e del lavoro, sono obiettivi che in ogni parte del mondo ciascun governo responsabile dovrebbe garantire. In aree fortemente degradate e percorse da instabilità politica, economica, sociale, questo dovrebbe essere un obiettivo assolutamente prioritario.

Disgraziatamente, l’attenzione dei governi di molti Paesi delle due aree considerate è rivolta a ben altri fini: assicurare la vittoria del partito o dell’etnia di appartenenza; sostenere formazioni armate alleate; alimentare la corruzione; favorire l’arricchimento di pochi a danno della gran parte della popolazione. Se si volge lo sguardo sulla mappa che comprende queste aree, il panorama è decisamente desolante. Solo una minoranza di Paesi ha un governo stabile e democraticamente scelto, in grado di garantire una convivenza pacifica, servizi generali mediamente efficienti, e prospettive di crescita e di sviluppo a livello economico e sociale. La gran parte degli altri fa registrare solo guerre, criminalità diffusa, miseria, anarchia, degrado.

Negli ultimi decenni alcuni Paesi della regione hanno avviato riforme che riguardano politiche in materia di bilancio, affari monetari, commercio, investimenti e mercato del lavoro, agricoltura, industria e servizi. Ma i benefici in termini di nuova occupazione sono stati modesti, per cui i flussi migratori verso la sponda settentrionale del Mediterraneo, anche non legati alle situazioni di guerra, non sono affatto diminuiti. Peraltro il modello di crescita adottato da diversi Paesi dell’area mediorientale incoraggia soprattutto i settori ad alta tecnologia votati alle esportazioni e le attività ad alta intensità di capitale. Queste strategie così orientate se per un verso hanno contribuito positivamente alla crescita del PIL, per un altro non sono state capaci di offrire sufficienti e dignitose opportunità occupazionali a una forza lavoro in rapido aumento. Conseguentemente, nell’area prevale un ampio settore informale che offre posti di lavoro per manodopera non qualificata, e solo salari di sussistenza. Si crea occupazione, ma sono diffuse l’evasione fiscale e la violazione delle norme giuridiche anche più elementari a tutela del lavoratore.

Da rilevare, ancora, che soprattutto nei Paesi del Mediterraneo meridionale si registra un boom demografico giovanile, con oltre il 30 % della popolazione in un’età compresa tra 15 e 30 anni. Tale crescita demografica si traduce in un allungamento dei tempi di transizione tra scuola e lavoro e nell’allargamento di una fascia composta da coloro che non lavorano né seguono un percorso scolastico o formativo.

Tantissimo quindi, resta ancora da fare, e considerando l’attuale conflittuale contesto  appare assai difficile che possa intraprendersi a breve un percorso virtuoso articolato e profondo, volto a colmare le gravi lacune nel settore della formazione. In ogni caso, a mio parere, tale percorso dovrebbe comprendere:

  • lo sviluppo di programmi di eccellenza in materia di istruzione tecnica e professionale, maggiormente spendibili sul mercato del lavoro;
  • il miglioramento delle competenze di insegnanti e formatori;
  • la promozione di scambi e accordi di partenariato tra istituti di formazione e imprese, preferibilmente con partner europei o comunque occidentali;
  • il sostegno a contratti di apprendistato e ad altre opportunità di formazione concrete, flessibili e più accessibili in termini di costi.

Sul piano internazionale, a dire il vero, alcuni organismi sono intervenuti e sono ancora attivi per sostenere virtuose politiche rivolte agli obiettivi suddetti. La Fondazione europea per la formazione (ETF), di concerto con la Commissione europea e altri partner, opera dal 2006 a favore della cultura d’impresa e della necessità di una formazione imprenditoriale. La Commissione europea, nel 2011, ha varato l’iniziativa di uno Small Business Act (SBA) per il Mediterraneo, allo scopo di promuovere l’imprenditorialità e stimolare le singole economie. L’Unione per il Mediterraneo (UpM), da qualche anno ha posto la promozione della creazione di posti di lavoro in cima alla sua agenda.

In questo quadro, la Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, l’unica (a quanto è dato di sapere) nel nostro Paese che promuove la diffusione della cultura, l’incremento della formazione dei giovani e l’integrazione fra diversi popoli del Mediterraneo, sta dando il suo contributo, sostenendo la realizzazione di progetti diretti ad irrobustire il capitale umano presente nell’area del Mediterraneo.

L’istituzione di questa Fondazione trae origine dal mio profondo convincimento circa la necessità di recuperare la centralità a livello geopolitico dell’area del Mediterraneo come valida alternativa all’attuale eurocentrismo, per di più fondato sui Paesi del Nord Europa. Non a caso tutta la mia attività è ispirata al richiamo del messaggio di Federico II, che ha influenzato il mio pensiero fin da quando ero ragazzo e che ancora oggi trovo attualissimo. Sia in riferimento alla delicata questione del rapporto tra Occidente e Oriente, contrastato o addirittura reso impossibile dalla mancata separazione nella maggior parte dei Paesi orientali ed islamici tra sfera politica – temporale e sfera religiosa – spirituale (questione già intuita da Federico II anche nell’Italia del suo tempo); e sia proprio per quella sua visione mediterraneo-centrica, ovvero del Mare Nostrum come ponte tra Europa, Asia ed Africa, luogo del dialogo e del confronto. Un ruolo che, a mio parere, il Mediterraneo dovrebbe recuperare integralmente nel nostro tempo.

Su questa linea, numerosi sono stati gli sforzi personalmente intrapresi attraverso le Fondazioni via via da me gestite per dare corpo a questa visione e per indicare un progetto che l’Italia dovrebbe sposare senza tentennamenti, fino a diventarne leader internazionalmente riconosciuto, come la legittimano a fare la sua storia e la sua posizione geografica.

Nella Conferenza internazionale “Mediterraneo: Porta d’Oriente”, promossa dalla Fondazione Roma su mio preciso impulso e tenutasi a Palermo nel maggio del 2010, sottolineavo come il Mediterraneo non sia solo uno spazio fisico ma un soggetto unitario  che identifica una straordinaria “storia delle idee”, un percorso plurimillenario fecondato dalla fede in un Dio unico, in cui si sono formate e fuse le diverse sensibilità arabe, ebraiche, cristiane, e in cui sono nati la filosofia e il concetto di “polis”, ed hanno trovato facile albergo le arti, la letteratura e la poesia. Lì esprimevo anche l’auspicio che il Mediterraneo potesse riconquistare il suo ruolo storico fondamentale, soprattutto attraverso il linguaggio della cultura e dell’arte. E molte sono state le iniziative realizzate per dare un segno concreto di sostegno a questo percorso.

Ricordo il convegno su “La politica mediterranea dell’Italia” svoltosi a Palazzo Sciarra nell’aprile 2014, dal quale è scaturito un documento contenente proposte di policy in materia di economia, immigrazione, sicurezza, politiche culturali, per esaltare il ruolo dell’Italia verso i Paesi MENA (Middle East North Africa) in vista del semestre di Presidenza italiana della UE. Quel documento fu inviato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli Affari Esteri, ma la risposta della nostra classe politica fu solo la sordità rispetto a quelle problematiche tanto cruciali per il futuro dell’Europa e dell’Italia.

Nel documento si suggeriva, in materia di economia, di ripensare il concetto stesso di Mediterraneo comprendendovi i Paesi del Golfo; di avviare negoziati per la stipula di Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA) al fine di massimizzare la liberalizzazione degli scambi di beni, servizi, investimenti e promuovere una convergenza normativa relativamente a requisiti tecnici, misure sanitarie, tutela della proprietà intellettuale, concorrenza e dogane; di puntare a rendere più affidabili e convenienti le forniture energetiche dal Nord Africa, dal Sud Est Europa-Caspio e dal Medio-Oriente, facendo diventare l’Italia l’hub energetico meridionale di un’Unione Europea più forte e indipendente in questo ambito. In tema immigrazione si proponeva di definire una politica comune dell’UE in materia di rimpatri, visti, asilo e operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo condivise tra gli Stati membri; di rivedere gli accordi di riammissione con i Paesi dell’area mediterranea e a livello nazionale di operare una revisione delle politiche di contenimento dei flussi migratori. Quanto alla sicurezza, le idee erano di completare la riforma di Eurojust, dando priorità alla lotta contro le organizzazioni criminali transnazionali operanti nell’area del Mediterraneo, e di rafforzare le strutture di cooperazione giudiziaria esistenti, impegnandole nelle azioni di contrasto della criminalità nel Mediterraneo. C’era infine un capitolo dedicato alla cultura, con le proposte di sviluppare le relazioni con le componenti più identitarie delle società civili mediterranee post-2011 attraverso una corretta individuazione degli interlocutori più dinamici e ricettivi, e di accompagnare tale azione con l’appoggio diplomatico ed il coinvolgimento delle Ambasciate italiane all’estero e degli Istituti di Cultura dei Paesi Mediorientali. Venivano, inoltre, suggeriti il potenziamento del programma euro-mediterraneo dell’Ue; il rafforzamento del ruolo dell’Italia nell’attrarre investimenti; la vigilanza sugli orientamenti delle agenzie di sviluppo europee e internazionali per renderli conformi agli interessi geopolitici italiani; la creazione di una coalizione tra i Paesi del Sud Europa interessati a sostenere il recupero di centralità dell’area mediterranea; l’adozione di una politica attenta verso i Balcani sulla scia della costituzione nel 2006 a Pola dell’Euroregione adriatica.

Da una successiva Conferenza internazionale sul ruolo delle Donne nella nuova stagione del Mediterraneo, tenutasi a Valencia nel maggio 2015, scaturì una dichiarazione programmatica aperta al contributo di tutti, attenta anche alla questione del difficoltoso accesso delle donne al lavoro in molti Paesi dell’area.

Se poi si vogliono ricordare gli interventi concretamente realizzati sul territorio, vanno menzionati il restauro della Cattedrale di Sant’Agostino d’Ippona ad Annaba, vicino Algeri; la ricostruzione del monastero di “Mar Musa- al Habashi” in Siria; l’irrigazione delle aree predesertiche a Nabeul, in Tunisia; la creazione di un campo di calcio per i rifugiati iracheni di Jaramana nei pressi di Damasco; il sostegno garantito al Festival di El Jem. Tra le iniziative realizzate nello specifico settore dell’istruzione e formazione vanno segnalate la realizzazione di programmi scolastici di scambio tra studenti palestinesi ed israeliani negli istituti d’istruzione superiore di Aqaba-Eilat; il progetto di educazione finanziaria nella cultura economica e sociale del Mediterraneo promosso dall’Associazione Nazionale per lo Studio dei Problemi del Credito – ANSPC e sostenuto dalla Fondazione Terzo Pilastro; il corso magistrale in “Interpretariato e mediazione interculturale” presso l’Università di Reggio Calabria, aperto alla partecipazione di giovani del Mediterraneo; il progetto denominato “LUISS Mediterraneo”, diretto a garantire un ciclo completo di laurea (triennale e biennio di specializzazione) a studenti  selezionati direttamente dall’Università, con l’obiettivo di fare in modo che i frequentatori, una volta ottenuta una formazione universitaria di primo livello, possano rientrare nei Paesi d’origine ed assumere ruoli manageriali; il corso di perfezionamento che si tiene presso la LUMSA denominato “Il Mediterraneo ed il Medio Oriente oggi: problemi e prospettive”, che si avvale della collaborazione del Rotary Club Roma Cassia, e di cui è promotore l’Ing. Ingegner Franz Martinelli, che ringrazio per la preziosa collaborazione, che si prefigge di formare esperti nelle relazioni giuridiche, economiche, politiche e culturali tra i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente.

E’ parecchio; ma ancora drammaticamente insufficiente per risollevare stabilmente il livello dell’istruzione e dell’offerta lavorativa, soprattutto giovanile. Pur tuttavia, a mio avviso, questa è la strada che seguendo l’esempio di quanto fa questa nostra piccola fondazione non profit dovrebbe seguire il mondo occidentale e questa Europa senz’anima e tutta protesa al rispetto dei conti. Soprattutto è la strada che dovrebbe seguire questa povera Italia dove i politici, dopo quarant’anni di presenza in Parlamento, parlano di cose vuote e prive d’interesse. Politici che nella migliore delle ipotesi della sponda sud del Mediterraneo conoscono Sharm el Sheik, e da cui siamo stanchi (indipendentemente dal governo di turno), di dover ascoltare astratte fumosità.

Noi, in questi anni, abbiamo indicato una strada costruita in convegni di spessore internazionale, e scandita di opere concrete realizzate sul campo, per offrire ai giovani opportunità di lavoro, alta formazione, istruzione. Bisogna iniziare tutti a percorrerla subito, per evitare che un giorno, non troppo lontano, Roma faccia la fine di Costantinopoli.