SLA: Si è accesa in Italia una luce di speranza

31 gennaio 2018

Intervista con il Prof. Antonio Musarò

«Da dove parte il danno che provoca la sclerosi laterale amiotrofica? Qual è il primo “mover” di questa malattia, più nota con l’acronimo SLA? Il nostro studio ha dimostrato, per la prima volta, che un’alterazione del muscolo scheletrico induce non solo uno smantellamento della giunzione neuromuscolare, ma determina anche l’attivazione di un meccanismo “retrogrado” che influenza negativamente la stabilità delle cellule nervose stesse». A parlare è il Professor Antonio Musarò, dell’Università Sapienza di Roma, responsabile di un progetto di ricerca sulla SLA finanziato dalla Fondazione Roma e fortemente voluto dal suo Presidente, Prof. Emmanuele F.M. Emanuele. La SLA è una malattia degenerativa che porta a una perdita graduale dei motoneuroni, le cellule del sistema nervoso che impartiscono ai muscoli il comando di movimento. Le persone affette da SLA perdono progressivamente la capacità di articolazione del linguaggio, di deglutizione e la funzionalità dei muscoli scheletrici fino ad una paralisi generalizzata che nelle fasi terminali coinvolge i muscoli respiratori. Già 15 anni or sono, il Prof. Emanuele, prevedendo il drammatico dilagare – soprattutto nelle società avanzate – di patologie neurologiche che portano al progressivo deperimento delle condizioni fisiche, si batté perché fosse resa praticabile la sua idea di accogliere malati di SLA nell’allora Hospice Sacro Cuore a Roma, da lui creato nel 1998 come centro di accoglienza residenziale ed ambulatoriale per le Cure Palliative e destinato ai malati terminali ed agli anziani fragili. Ne nacque una dura battaglia contro le autorità sanitarie regionali laziali, che non consentivano che nei posti letto dell’Hospice, non occupati dai malati terminali, fossero accolti eccezionalmente anche i pazienti di SLA, battaglia che, alla fine, fu vinta grazie al sostegno offerto dall’allora Vice Sindaco di Roma Maria Pia Garavaglia.

Oggi, come previsto dal Prof. Emanuele, le malattie connesse alla degenerazione delle cellule neuronali sono divenute, insieme al cancro, una vera emergenza sanitaria e sociale, e non a caso la ricerca sta concentrando risorse ed energie per cercare di studiare i meccanismi che le producono e di testare sistemi di prevenzione e di cura efficaci.

Professor Musarò, la sua attività di ricerca riguarda lo studio dei meccanismi cellulari e molecolari dell’invecchiamento muscolare e di patologie degenerative come la SLA. Cosa hanno in comune queste patologie?

Negli ultimi cinquant’anni la popolazione italiana ha subito evidenti e rilevanti trasformazioni demografiche. L’innalzamento della speranza di vita a tutte le classi di età e la riduzione del tasso di mortalità sono tra i fattori che, più di altri, spingono la nostra popolazione verso un progressivo invecchiamento demografico. E’ stato dimostrato che l’invecchiamento comporta una progressiva perdita di massa muscolare, associata ad una riduzione nella forza, una condizione patologica questa conosciuta come sarcopenia. Un altro evento patologico associato all’invecchiamento e a patologie muscolari è determinato da alterazioni a livello delle giunzioni neuromuscolari. Queste rappresentano la regione di comunicazione tra muscolo e nervo e costituiscono un vero e proprio ponte funzionale; infatti, ricevendo input fisiologici dai due tessuti, cioè muscolo e nervo, le giunzioni neuromuscolari consentono agli stessi di funzionare e comunicare in modo corretto. Per contro, un loro difetto potrebbe compromettere la fisiologica comunicazione tra sistema nervoso e tessuto muscolare, danneggiandone la funzionalità.

Un esempio emblematico di patologia, oltre all’invecchiamento muscolare, in cui si osserva in maniera evidente il difetto di comunicazione tra nervo e muscolo è appunto la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

 

A che punto sono gli studi per comprendere l’origine della malattia?

Negli ultimi anni tanti sono stati gli studi che hanno cercato di capire le basi molecolari e cellulari dell’invecchiamento muscolare e della SLA. Tuttavia, molte domande rimangono ancora irrisolte e molti sono ancora i lati oscuri circa i meccanismi patogenetici coinvolti nella degenerazione delle cellule nervose, della debolezza muscolare e nella frammentazione delle giunzioni neuromuscolari. E soprattutto, la domanda che rimaneva irrisolta era: da dove parte il danno? Qual è il primo “mover” della malattia?

Molti fattori, come ad esempio lo stress ossidativo e l’infiammazione, possono svolgere un ruolo importante nella degenerazione delle giunzioni neuromuscolari e, conseguentemente, della funzionalità dei muscoli volontari.

Nel quadro degli studi finora condotti, rimaneva tuttavia da chiarire se lo smantellamento delle giunzioni neuromuscolari fosse un evento riconducibile direttamente ad un’alterazione a livello delle cellule nervose (neuroni motori) o se potesse verificarsi indipendentemente dalla loro degenerazione. Capire, quindi, se l’evento principale che porta verso una perdita di funzionalità muscolare legata all’età o ad alcune patologie degenerative sia dovuto ad una denervazione muscolare o ad una frammentazione delle giunzioni neuromuscolari rappresenta un obiettivo importante, perché permette di identificare la sede primaria del danno e, quindi, di sviluppare approcci terapeutici più mirati, per contrastare l’invecchiamento e/o patologie muscolari.

 

Com’è stata concepita la vostra ricerca?

Abbiamo realizzato un modello sperimentale (un topolino geneticamente modificato) nel quale è stata indotta un’alterazione genica selettivamente nei muscoli volontari, senza, quindi, coinvolgere direttamente i neuroni motori. L’obiettivo era quello di indagare se un’alterazione che parte dal muscolo potesse compromettere il “mantenimento” della giunzione neuromuscolare e, quindi, la comunicazione muscolo-nervo, oppure se il difetto a livello del neurone motore si rendesse necessario per causare la degenerazione delle giunzioni muscolari e, conseguentemente, la denervazione funzionale del muscolo. Il nostro studio ha dimostrato, per la prima volta, che un’alterazione del muscolo scheletrico induce non solo uno smantellamento della giunzione neuromuscolare, ma determina anche l’attivazione di un meccanismo “retrogrado” che influenza negativamente la stabilità delle cellule nervose stesse.

 

Come avete utilizzato tale risultato?

Il passo successivo è stato quello di individuare il meccanismo molecolare alla base della frammentazione delle giunzioni neuromuscolari e dell’alterata comunicazione tra i due tessuti. Abbiamo scoperto che questo dipende dall’attivazione di una proteina chinasi, conosciuta come PKC theta, la quale è normalmente poco espressa in un muscolo maturo, ma ritorna ad essere espressa ad alti livelli nei muscoli dei topi vecchi o di modelli di patologie neuromuscolari come la SLA.

Un ulteriore risultato interessante è stato quello di dimostrare che un “silenziamento” farmacologico della proteina PKC theta è in grado di preservare le giunzioni neuromuscolari e di promuovere un mantenimento della massa e forza muscolare nei topolini trattati con l’inibitore farmacologico della proteina PKC theta.

 

Quali prospettive si aprono ora alla terapia?

Il nostro studio supporta, da una parte, il concetto del “dying back” per cui un’alterazione a livello periferico (muscolare) può portare all’attivazione di meccanismi degenerativi nei neuroni motori e, dall’altra, propone un nuovo approccio terapeutico per trattare l’invecchiamento muscolare e le patologie neuromuscolari, come la SLA, attivando un processo di “saving back”. Le nostre ricerche rappresentano, quindi, una svolta importante nella comprensione dei meccanismi patogenetici della sarcopenia e di patologie neuromuscolari.

Molto deve essere ancora fatto, ma questi risultati recentemente pubblicati, offrono una prospettiva incoraggiante per sviluppare approcci terapeutici più mirati ed efficaci.

 

A questo punto come intendete andare avanti?

E’ fondamentale aggregare risorse e competenze nei diversi settori tecnologici e nelle diverse discipline. Sulla base di queste considerazioni, il progetto di ricerca, supportato dalla Fondazione Roma, ha il vantaggio di aggregare diverse unità di ricerca multidisciplinari, quali quelle dei gruppi di ricerca di Musarò, Bozzoni e Arca dell’Università di Roma La Sapienza, le quali sinergizzano per arrivare ad una più rapida e completa conoscenza dei meccanismi fisiopatologici del muscolo scheletrico e soddisfano anche i principali criteri su cui si basa il progetto europeo Horizon 2020: “excellent science” e “better society”.